Vi è un luogo nel Mediterraneo che riunisce e compendia i mille problemi che affrontano i diversi popoli delle sue rive nelle loro mutue relazioni. Ma che indica anche una soluzione per la loro integrazione.
Quel luogo è melilla, una città, con un poco di terra intorno, spagnola, ma all’interno del Marocco, sulla sua costa mediterranea. Una enclave. In quei pochi chilometri quadrati vi e’ di tutto, umanamente parlando. Orrori e speranze.
La città e’ circondata da una doppia rete metallica, altissima, sormontata da temibile filo spinato, controllata da telecamere. Fuori una quantità di africani che vogliono entrare in Europa. La loro tattica e’ ormai raffinata: aspettano una notte buia e tempestosa ed attaccano con scale e corde, in massa, il punto più debole della barriera. Prima che i gendarmi arrivino alcuni riescono a passare, altri sono intrappolati fra le due barriere, altri rimangono attaccati al filo spinato in alto. Cola molto sangue, ci sono stati morti. Chi non passa prende un sacco di botte dai gendarmi marocchini. E’ la faccia crudele dell’Europa.
Dentro la città vivono molti spagnoli di origine spagnola; sono i cosiddetti “continentales”. Là da generazioni o da decenni, sembrano asserragliati in quella che e’ l’ultima colonia d’Europa in Africa. Mangiano, bevono, vivono spagnolo. In un angolo della città sta ancora in piedi l’ultima statua vigente di Francisco Franco, il dittatore. Giusto per dire da che parte batte il cuore della Melilla spagnola “continental”. Del resto il minuscolo territorio della città e’ costellato dalle caserme, lì a difendere le sacre frontiere della terra spagnola in Africa. Fra i tanti corpi il temibilissimo Tercio, la Legione Straniera spagnola, le cui gesta non voglio ricordare.
Ma ora viene il bello.
Per un motivo od un altro, destreggiandosi nelle pieghe della storia, molti altri popoli si sono infilati, nel passato, dentro le mura di Melilla. Di tutto, insospettabile.
Degli indiani, commercianti, a fine ‘800; degli ebrei, scacciati dal resto di Spagna, che vi hanno una sinogaga, un ristorante, una loro comunita’; un bel gruppo di cinesi, ovviamente commercianti. E, naturalmente un gran numero di arabi o berberi di origine marocchina che hanno trovato la nazionalità spagnola o, almeno, la residenza.
E qua scatta l’integrazione, perché questi diversi popoli convivono negli stessi angusti confini. Non si amano molto, probabilmente, ma stanno insieme: i continentales bevono la birra, gli arabi/berberi il tè, ognuno nel suo bar, ma uno accanto all’altro. Chiese e moschea, gli stessi ristoranti di pesce, uno con personale arabo, l’altro continentale, stesso menu, stessi prezzi. Un negozio arabo ed uno spagnolo, come dovrebbe essere ovunque; ogni popolo con le proprie caratteristiche, ma senza preclusioni e tensioni. Uguaglianza di opportunità, almeno formali.
Tutti unitissimi, poi, nel frodare le tasse spagnole e marocchine. Melilla è un porto franco; quindi le merci vi sbarcano da tutto il mondo, senza pagare dogana. Le autorita’ e la gente di Melilla e di Nador (l’adiacente città marocchina) si sono organizzati per fare del contrabbando istituzionalizzato, enorme e fiorentissimo. I marocchini (molto spesso donne) che hanno il permesso di soggiorno possono attraversare la frontiera quante volte vogliono.
Quindi dei commercianti arabo-spagnoli comprano la merce importata dai cinesi, la portano ai tre posti di frontiera con dei furgoni e la caricano sulle spalle di un esercite di formichine marocco-spagnole che la porta dall’altro lato dove dei commercianti marocchini la distribuiscono in tutto il paese. La regola e’ che il carico deve essere portato sulle spalle o sulle braccia, non ci devono essere mezzi di trasporto di nessun tipo (i frigoriferi possono camminare sulle loro rotelline). La seconda regola e’ che bisogna dare una moneta alla guardia marocchina. La fila procede lentamente, secondo i capricci del lato marocchino; ci sono state delle calche, anche con qualche morto. Per questo la Polizia spagnola vigila e dirige la fila dei portatori.
Questi piu’ portano e piu’ guadagnano; a volte hanno carichi disumani. Le ONG insorgono, ma il traffico prosegue. Tutto in nero, come se fossimo nella giungla, tutto in euro, come se fossimo in Europa.
Ecco, numerosi popoli che si affannano insieme per vivere e cio’ stupisce e consola.
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